Che sia stato inventato o meno con lo scopo di salvare dalla violenza, il gesto esiste. E’ un gesto semplice, facile da imparare e ricordare, silenzioso: si usa una mano, si mette il pollice al centro del palmo e si chiudono su di esso le altre quattro dita; di seguito il link del video diffuso dalla Canadian Women’s Foundation al fine di aiutare le donne intrappolate a casa nel periodo del primo lock down:
A questo punto devo fare un assurdo sforzo di volontà per sgarbugliare la matassa di sentimenti che, come la tela di un ragno, mi avviluppano cuore e cervello quando l’argomento è la violenza.
Comincio con dati concreti e facilmente verificabili : l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) da anni stila documenti e linee guida per una piaga globale che coinvolge almeno il 35% delle donne. Un terzo della popolazione mondiale femminile è vittima di violenza. In Italia l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) si occupa di numeri e dedica un’intera sezione di articoli alla violenza di genere, un esempio:
Ci sono anche uomini vittime di violenza familiare e bambini, ma adesso non voglio entrare nel merito e nei numeri di questi crimini odiosi.
Voglio concentrarmi sul vero problema: l’educazione e la sensibilizzazione delle persone. Come con gli oggetti tecnologici, demonizzati ed essenziali, salvifici per certi versi soprattutto in questo momento, gli strumenti vanno imparati ed insegnati. I linguaggi, tutti, sono mezzi di comunicazione e devono essere usati, se necessario, per chiedere aiuto: vanno insegnati perché con la conoscenza si possono salvare delle vite.
L’istruzione, però, non può essere uno strumento educativo efficace se non viene sensibilizzato l’allievo sull’ obiettivo e sulla strategia per cui è stato inventato un vocabolo, un gesto, un linguaggio.
A seguito dell’aumento in tutto il mondo, aumento intensificato dalla reclusione forzata, di violenza domestica, la Canadian Women’s Foundation propone di adottare un segnale internazionale per richiedere aiuto in modo silenzioso e discreto, senza lasciare traccia.
La possibilità e la volontà di chiedere aiuto sono passaggi fondamentali per poter uscire dall’orrore, ma spesso le vittime che riescono a prendere coscienza di dover chiedere aiuto non possono farlo per impedimenti propri – paura per la propria incolumità e per quella dei propri figli – o esterni perché la fantasia perversa dell’aggressore e l’omertà di chi circonda il nucleo familiare sono barriere troppo spesso invalicabili.
Riconoscere di subire violenza e di aver bisogno di aiuto, poter chiedere aiuto e riceverlo in maniera professionale e proficua non sono passaggi scontati: la sensibilità di chi incrocia segnali di allarme nei gesti o nelle parole è un bene prezioso che deve essere insegnato e accresciuto. Non sprechiamo energie nel dire che uno strumento di comunicazione può essere usato a sproposito, ma concentriamoci nel fornire mezzi sempre più veloci ed efficaci che tutelino dalla violenza.
Ho sempre pensato che il vero progresso esiste solo quando aumenta la sensibilità e la consapevolezza delle persone verso la tutela della vita e della libertà di ognuno: il vecchio caro rispetto del dogma civile e sociale deve tendere al rispetto profondo dell’essere umano.
Ultimamente circola su diversi canali divulgativi il video in italiano che riprende l’iniziativa canadese e fornisce numeri d’aiuto utili:
Ecco i numeri da chiamare per chiedere aiuto e segnalare atti di violenza:
1522 Help Line violenza e stalking
112 i Carabinieri
113 la Polizia
2 Replies to “Il problema non è il gesto! Educhiamoci a salvare vite.”
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